Il “Buon Samaritano” è un dipinto che Van Gogh realizza nel 1890, anno della sua scomparsa. Un’opera che rientra nel bagaglio artistico sacro dell’artista olandese, dove è inequivocabile ed emozionante l’azione del buon samaritano che, con un gesto determinato, offre il suo aiuto ad un altro uomo in difficoltà, senza risparmiarsi.
In mezzo a una strada sterrata e ai campi arsi dal sole, la parabola della “compassione”, secondo il vangelo di Luca, prende vita. Un uomo con le maniche rimboccate, inarca la schiena aiutandosi con la gamba, solleva il pesante corpo del suo prossimo nel tentativo di trarlo in salvo sul cavallo, dopo una probabile disavventura. La reazione scomposta del bisognoso che con una fasciatura sul capo si aggrappa al suo salvatore, il notevole sforzo protratto da quest’ultimo, il tallone che sollevandosi si stacca dalla sua calzatura, sono solo alcuni dettagli su cui si focalizza l’attenzione dello spettatore, rendendo l’esperienza del proprio coinvolgimento emotivo sempre più profonda.
Cosa vuole trasmettere questo dipinto?
È un messaggio di vera compassione che emerge con una forza straordinaria: nasce dal pensiero e dà seguito ad una azione. Per aiutare il nostro prossimo, necessariamente, dobbiamo farci carico delle sue difficoltà e “indossare” – per così dire – il suo dolore, per comprenderlo realmente.
Nella società attuale, che non ha mai tempo di fermarsi, la parola compassione rischia di suonare anacronistica, quando invece dovrebbe essere recuperata e riportata alla sua originale dignità. Aprire il cuore alla compassione e non chiudersi nell’indifferenza, è l’esortazione che Papa Francesco rivolge assiduamente ai fedeli di tutto il mondo. Il suo messaggio, “restituire ci salva dall’indifferenza”, incoraggia a percorrere la via della “vera giustizia” abbandonando ogni forma di individualismo. Attenzione, però: una scelta compassionevole non deve limitarsi a concepire una semplice risposta emotiva a ciò che ci colpisce nel profondo in un certo momento, ma deve diventare scelta di metodo e di responsabilità. Secondo la teologia biblica, la compassione è l’elemento in base al quale Dio “vede” la sofferenza del popolo e si appresta a intervenire a suo favore (Esodo 2,23-25; 3,7). La compassione può assumere varie forme.
Personalmente, credo molto nel valore dell’istruzione e, quindi, nell’offrire la possibilità a giovani promettenti, volenterosi ma privi di mezzi, di poter accedere a percorsi scolastici di qualità. Una formazione solida pone le basi per la crescita della società futura, rendendola più pronta ad affrontare i processi di cambiamento e di sviluppo che interessano le aziende, il mondo del lavoro, gli stili di vita e, soprattutto, l’uomo come anima della comunità.
In linea con la mission di Fordham, che si ispira al pensiero gesuita, e nello specifico ai significati attribuiti alla parola “discernimento”, credo che essere compassionevoli significhi riconoscere l’altrui difficoltà per porvi rimedio in modo disinteressato, senza dare giudizi.
La relazione emotiva fra chi aiuta e chi ha bisogno non può che essere costruttiva, in quanto aiuta entrambi, favorendo un atteggiamento di speranza e convertendo allo stesso tempo i sentimenti in azione. Aiutare concretamente significa gettare un seme che darà sicuramente i suoi frutti in futuro.